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Facebook: tutti amici, finché non vi cancello dalla lista? E che è?

Confondere amicizia digitale e amicizia reale porta a distruggerne il concetto. Facebook lo sa benissimo. Per questo avvia iniziative come Whopper Sacrifice: basta che ci sia «utenza»

Ma chi l’ha detto che io debba avere una lista di 20mila amici su Facebook? Proprio nessuno. L’errore è di fondo: confondere la «digitalizzazione» di un’amicizia vera con una falsa, costruita (solo) su una manciata di bit, dunque assolutamente inesistente come tale.

Parlo per me, naturalmente, ma vedo che anche altrove qualcuno si è accorto che se d’amicizia si deve parlare, questa deve essere reale, non sospinta da stimoli esterni, da interessi 2.0, da premi o chissà quale altra diavoleria.

Tempo fa ho scritto una sorta di tutorial, riportando ciò che aveva esternato Tamar Weinberg, in una piccola serie intitolata “Netiquette 2.0, per socializzare meglio”. Tamar Weinberg è un’appassionata del Web 2.0, consulente di Real Simple Magazine, Lateral Action, Search Engine Roundtable e Mashable ed anche ex-blogger di Lifehacker. Dunque, piuttosto ferrata in materia.

Tra i tanti argomenti trattati da Tamar, naturalmente, c’è anche Facebook. E ai suoi consigli penso sia cosa saggia non dico attenersi ciecamente, ma almeno prenderli in considerazione, a prescindere dall’aspetto esteriore della ragazza (che più di qualcuno ha criticato…).

Occorre anche guardarsi da trovate pubblicitarie insidiose, quali Whopper Sacrifice (valido solo negli States), una trovata di Burger King, secondo cui per guadagnarsi un decimo di panino occorre stroncare un’amicizia su Facebook. Orribile: non lo farei mai. Quelli che su Facebook sono miei amici li conosco personalmente, sono persone che non scambierei per nessun motivo con un decimo di panino. Dunque, chi invece l’ha fatto mi lascia la convinzione che abbia «segato» amici a cui teneva molto poco, ovvero non veri amici.

Questo è sempre stato il mio modo di vederla riguardo a Facebook ma anche riguardo al social networking in genere. Noto però con piacere che anche illustri quotidiani, come il «papà adottivo» di questo Blornale, il New York Times, e pari pari anche l’International Herald Tribune, non hanno risparmiato l’argomento con un titolo che è tutto un programma: “Friends, until I delete you”. Un titolo provocatorio, ovvio: creato per svegliare gli animi e cercare di non confondere amicizia vera con amicizia digitale.

Sarebbe come voler far credere alla gente che se siete riusciti, in qualche modo, a fare una foto insieme al Presidente della Repubblica, siete suoi nipoti.

Seguire queste “mode” - se così vogliamo chiamarle, con tutto il rispetto per la vera moda - altro non è che l’espressione di un mondo in degenerazione, dove i valori veri come quello dell’amicizia vengono relegati in un angolo, dequalificati e mercificati, schiavizzati da un’applicazione Facebook che ne «quantifica un valore»: ma che, scherziamo? Chi osa permettersi di attribuire in autonomia un «valore» ad una mia amicizia?

Solo e soltanto io ho il diritto di farlo con le mie amicizie. Se concedessi questo diritto a qualcun altro o, peggio, a qualcos’altro come un’applicazione Facebook o una trovata commerciale di Burger King, delegherei un’altra entità a gestire le mie amicizie, cosa a mio avviso impensabile. A meno che ora anche i semplici (e a malapena) conoscenti non si chiamino amici, dimostrando così di aver confuso due termini che poco hanno a che vedere l’uno con l’altro.

Marco Valerio Principato

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